domenica 27 settembre 2009

Je ne sais quoi, alias rien de rien

Avvertenza: non ho letto nessun filosofo del je ne sais quoi… e per ora sto bene così. Un filosofo ora per la maggiore in Italia parla in un articolo di un altro filosofo, Jankélevitch per gli appassionati del genere, e solo alla prima frase mi vengono in nervi: “ In questo libro di abissale profondità…”, eh no, eh?!. E continua così, senza vergogna, per colonne e colonne fino ad arrivare all’ultimo paragrafo: “La morte è un’ovvietà che non finisce di stupirci...”. Ancora? Tutto l’articolo, per quello che sono riuscita a capire dato lo stato di nervosismo in cui mi ha messo, parla dell’ineffabilità, dell’indicibilità, dell’inafferabilità di alcune esperienze, ad esempio la morte, per le quali si applica il je ne sais quoi. E io , con il mio solito semplicismo dico: 1) ma la storia filosofia è piena di profonde – certo non abissali - riflessioni sulla morte, tutte dicibilissime; 2) l’inafferrabile, l’indicibile lasciamolo please ai mistici e ai poeti che con queste cose ci sanno fare molto meglio dei filosofi; 3) se uno non riesce a dire cose intelligenti non si deve nascondere né dietro espressioni che sì che sono indicibili , tipo je ne sais quoi, né facendo finta di dire cose abissalmente profonde attraverso ossimori che nascondono solo l’inafferabilità del pensiero di chi le dice. Citando, come mio solito a sproposito stavolta Santo Witt: "Su ciò di cui non si può parlare è meglio tacere". Quindi, un po’ di assordante silenzio non guasterebbe:-) AntoEnglish Note to the reader: I have not read any philosopher using the je ne sais quoi… and I am feeling fine for now. An esteemed contemporary Italian philosopher writes about another philosopher, Jankélevitch for the fans, and at the very first line he’s already getting on my nerves : “ In this book characterised by an abysmal depth...” My goodness! Ant he goes on, shameless, up to the last paragraph where he says “ Death is a commonplace that never stops surprising us”. Please ... This article, or what I could understood despite the bad mood it plunged me into, chats about how ineffable, unspeakable, elusive some human experiences are, like death for example, for which the je ne sais quoi could apply. And I say, with my usual simplistic way: 1) but the history of philosophy is full of deep – yet not abysmal – thoughts on death. And all of them are very “speakable” about; 2) let the poets and mystics deal with what is ineffable, unspeakable, elusive, they know how to do it much better than philosophers; 3) if one is not able to say clever things, he should neither hide himself behind words that yes are unspeakable, like for example je ne sais quoi, nor feign to say abysmally deep things through oxymora that only badly hide the elusiveness of the mind using them. Hence, misquoting as I usually do this time Saint Witt : “Whereof one cannot speak, thereof one must be silent".

Nessun commento:

Posta un commento