domenica 27 marzo 2011

Che popò di questione! -1

(Per il lettore, c'è una sorta di appendice in basso)

François Jullien, un sinologo francese, opera un duplice svelamento: mostra alcuni modi di pensare occidentali (di derivazione greca) attraverso la cultura cinese e viceversa. Per far questo affronta questioni su cosa sia la cultura, come sia possibile un dialogo transculturale, quali siano i criteri applicabili in questo campo.
Una prima difficoltà nasce dall’essere imbevuti in una specifica cultura: rischiamo di comportarci a volte come i BriBri, una popolazione del Costa Rica per i quali esistono due razze, i Bri e gli Ña. Bri significa uomini e sono loro, Ña sono tutti gli altri e significa….cacca*.

Inoltre, definire la cultura è arduo: ogni cultura è allo stesso plurale e singolare, in continua trasformazione. Todorov utilizza un’analogia: la cultura è come la nave degli Argonauti, in cui ogni tavola di legno, ogni corda, ogni chiodo sono dovuti essere sostituiti durante il viaggio. Il vascello che è ritornato al porto è materialmente differente da quello che era partito, eppure è la stesso**.

In questo caso non ci aiutano i concetti di identità e differenza, per i quali attribuiamo tratti specifici a ciascuna cultura, la rinchiudiamo in un nocciolo duro e operiamo classificazioni. Non è possibile, se ogni cultura è come la nave degli Argonauti. La diversità (non la differenza) delle culture, secondo Jullien, può essere interpretata in termini di distanza, di scarto. In questo modo diamo valore al “dia” (in greco attraverso, un “tra” gli spazi) di dialogo. Lo scarto tra le culture non presuppone né unità né specificità, ma mette sotto tensione le culture e le scopre una attraverso l’altra. Lo scarto è un campo da esplorare, non una serie di qualità da catalogare.

Non esistono valori ma risorse culturali. I valori sono un’affermazione di sé, si iscrivono in un rapporto di forze. Le risorse sono da tutti utilizzabili, fecondano le intelligenze, estendono la nostra comprensione o, se siamo pessimisti, la nostra preoccupazione.
E' interessante notare anche che questo  modo di intendere la cultura evita  la banalità di un relativismo per cui tutto sarebbe equivalente.  Le risorse si possono difendere, Jullien lo fa ad esempio per la legge che vieta il velo e altri segni di appartenenza religiosa nel pubblico in Francia. Inoltre le risorse sono sempre situate in qualche luogo: non possiamo scegliere questo o quell’elemento culturale come se fossimo al supermercato, senza tener conto del contesto (milieu).

L’articolazione tra scarto, luogo, distanza è significativa. Scostarsi, fare attenzione allo scarto, significa aprire un altro possibile.

Ho fatto riferimento in particolare a due libri di François Jullien, Le trasformazioni silenziose e Le pont des singes.
* Dizionario delle idee non comuni, Armando Massarenti
** La peur des barbares, T. Todorov.


AntoEnglish

(To the reader, there is a sort of appendix below)

François Jullien, a French sinologist, uncovers some Western/Greek modes of thinking through the Chinese ones and viceversa. In order to do so he deals with questions such "what is culture?", "how is a transcultural dialogue possible?", "what kind of criteria we can use to judge it?".
Living in one particular culture may represent a first obstacle: sometimes we may act as the BriBri, a tribe living in Costa Rica. According to them there are two races: the Bri, identifying them and meaning human, the Ña identifying all the others and meaning…poo*.


Moreover, it is arduous to define culture. It is both singular and plural and continuously transforming. T. Todorov uses a nice analogy: culture is like the Argo ship, in which every single piece, every plank of wood, every rope, every nail had to be substituted during the voyage. So the ship that came back was materially different from the one that had left, yet it was the same**.


Concepts like identity and difference don’t help, on the contrary; through them we enclose culture in a hard core, we attribute specific traits to range it. But this is impossible if culture is like the Argonauts’ ship. Diversity (not difference) can be interpreted according to Jullien in terms of gap (écart). In this way we can make the “dia” (in Greek “through”, what is between spaces) as in dialogue works. Gap doesn’t need to presuppose uniqueness or specificity, it puts under tension cultures thus revealing one through the other. It is an open field to be explored, not a set of fixed qualities to be classified.


Not values but resources: this is how cultures should be understood. Values may lead to self-affirmation, they are inscribed in a relationship of forces; resources can be used by everybody, they feed intelligences, they stretch our understanding, or, if we are pessimist, our concerns.
It is also worth noting how this way of understanding culture avoids a simplistic relativism, for which everything is equivalent. It is indeed possible to defend specific resources, as Jullien does it for example when he supports the "veil ban" (or any such item indicating religious affiliation). Moreover resources are always placed somewhere: we cannot pick this or that element as we please, as if we were in a supermarket, without taking into consideration the environment (milieu).


The articulation between gap, place, distance is meaningful. To part, to mind the gap (s'écarter) means to open another possibility.


My references here are two books in particular, Les transformations silencieuses and Le pont des singes.
* Dizionario delle idee non comuni, Armando Massarenti
** La peur des barbares, T. Todorov.

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