lunedì 5 aprile 2010

Oh Diogenes - 5, or on vicinity

Diffidare del rispetto per l’autorità sembra una buona pratica ma non si applica a chi non segue gli ordini (i capi, la massa, la persona che spinge giù dal ponte un’altra), né chiaramente costituisce l’ultima spiegazione per chi li segue. Infatti, tutti quelli che hanno resistito lo hanno fatto, o lo hanno fatto esclusivamente, solo perché diffidavano dell’autorità? Porre l’altro su un piano più basso o diverso, ovvero non considerarlo come essere umano al pari nostro, mi è sempre sembrato un elemento importante, anche se forse un pò tautologico. In altre parole mi sembra che in tutte le circostanze citate l’altro non venga considerato né come fine in sé né come nostro prossimo. Mi pare che molte cose rientrino nell’assenza di prossimità intesa in questo senso, senza che però la definiscano completamente. A onor del vero, non cerco nessuna spiegazione ultima (né credo sia possibile). Il razzismo, la xenofobia, la paura dell'altro, per esempio, sicuramente mettono l’altro su un piano più basso. Ma non sono la spiegazione ultima, perché non credo che i torturatori della DINA considerassero le loro vittime come inferiori e neanche l’uomo che ha spinto un’altra persona dal ponte.
A proposito del Cile, apro una parentesi. Mi ha colpito tantissimo leggere che nelle elezioni in cui Allende vinse, l'80% delle forze armate erano di centro sinistra, il restante 20% era diviso tra destra e Unidad Popular, entrambi per i livelli medio-alti. Il 90% delle forze armate era di estrazione operaia e contadina. Ancora una volta: come è possibile? Si dice spesso che l’indifferenza è generata dalla lontananza, intesa sia in senso spaziale sia emotivo. Ovvero è più facile considerare l’altro come nostro prossimo se è un consanguineo, un amico, oppure se è coinvolto in un fatto tragico che accade vicino, piuttosto che lontano. Sere fa sono ho assistito a due eventi tristi, per fortuna non tragici: un incerto tentato omicidio e un sicuro tentato suicidio, che avevano per vittima la stessa persona. Ero lì insieme a molte altre persone, ma solo pochi hanno testimoniato. Al poliziotto che prendeva le mie dichiarazioni ho chiesto perchè secondo lui alcuni tra i presenti avessero dichiarato poi di non aver visto nulla. Mi ha risposto dicendomi che nella sua esperienza le persone testimoniano più facilmente quando hanno un legame con la vittima, o di consanguineità o di amicizia. Altrimenti, nelle parole del poliziotto, “non lo considerano un essere umano”. AntoEnglish To mistrust obedience to the law, although it may appear as good practice in certain circumstances, doesn't apply to those who don’t follow the orders (the chiefs, the mass, or the person pushing another from the bridge) as well as it doesn't constitute always the ultimate explanation for those who follow them. Those who resist do so, or do exclusively so, because they mistrust authority? Considering somebody inferior or different, not recognising him/her as a human being, seems to me an important element, even though it may be tautological. In all the circumstances I've referred to, the other is considered neither an end in him/herself nor our neighbour.
Many aspects fall in this absence of proximity, without defining it completely. To tell the truth, I am not looking for some final explanation (nor I believe it can exist). Racism and xenophobia certainly consider the other inferior. But they do not explain all, as I do not believe that DINA torturers considered their victims as inferior, nor did so the man who pushed another from the bridge.
Let me note something about Chile. I was particularly impressed when I read that in the elections won by Allende: 80% of the Army was center - left, and the remaining 20% was divided between right and Unidad Popular supporters, both of them mostly on high/medium ranks. 90% of the Army was working class or peasantry. Once again: how is it possible? It is often said that indifference is generated by distance, being it emotional or spatial. In other words it is easier to consider somebody as our neighbour if he/she is a blood relative, a friend, or is involved in a tragedy happening nearby, as opposed to far away. Some nights ago I witnessed by chance to two sad events, which luckily did not become tragic: one uncertain attempted murder and one certain attempted suicide, involving the same victim. I was on a street with many others, but not all them testified. I asked to the policeman whom I was giving my testimony why it was so. And he told me that from his experience people testify more easily when the victim is either somebody of the family or a friend. Otherwise, as the policeman said , “they do not consider him or her as a human being”.

5 commenti:

  1. C'è una distanza giusta rispetto all'oggetto delle proprie azioni crudeli? Intendo dire, una distanza che permette di interpretare il male come un comportamento che contraddice il comportamento usuale delle persone? La grande distanza sembra rendere più facile un comportamento che ignora il male che si fa, oppure sembra rendere l'altro, facilmente, un essere inferiore. Ma anche la distanza molto ravvicinata può scatenare la malvagità: in chi è sadico, in chi nella famiglia si comporta come un mammifero dominante e non sopporta che gli altri occupino senza danno il suo spazio. Forse anche in ufficio.

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  2. :-) per l'ultima riga. Appunto, mi sembra - e non sarebbe un grande idea, che le categorie spaziali non c'entrino nulla. L'unica "distanza" ,a chiamarla così, che potrebbe servire potrebbe essere quella mentale. Intendo dire nel caso della propaganda, intesa in senso stretto e in senso volgare. Per esempio, tanto per provocare un pò, quando la lotta contro il terrorismo è diventata "subrepticement" una guerra. La distanza mentale sarebbe da intendere come capacità di 1) cercare di capire che succede, andando a leggere, parlando ecc(e questo perchè abbiamo postulato un certa propaganda); 2) esercitare il proprio pensiero, inteso come vernunft.

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  3. Nel momento in cui ho postato il mio commento, mi rendevo conto di non essere riuscito a dire quello che pensavo; adesso non me lo ricordo neppure, e mi stupisco delle mie stesse parole, in particolare delle prime. Che volevo dire con "distanza giusta"? Boh.

    Avevo però in mente questo. Agli esperimenti che hai citato, si potrebbero aggiungere delle osservazioni che, senza avere la complessità degli esperimenti, mi sembra forniscano informazioni sul comportamento di molti uomini. In particolare, quando gli altri si trovano a distanza ravvicinata, spesso si è insofferenti e aggressivi, e alcune, forse molte persone, diventano addirittura cattive e compiono azioni malvage che non compierebbero con le persone che non fanno parte del loro spazio immediato.
    Si tratta di una distanza fisica? Non solo, anzi forse proprio no, se si pensa ai due esempi che ho fatto (ufficio e famiglia), ma in altri casi sì.

    Hai ragione, a questo stadio del blog, di pensare che bisognerebbe riflettere sulle tante circostanze che sembrano favorire comportamenti malvagi o addirittura disumani nelle persone: la presenza di un'autorità che comanda di farlo, la presenza di una persona autorevole che comanda di farlo, la fame, la disperazione, lo stress, il pericolo.

    D'altra parte sarebbe importante andare al di là degli esempi che hai fatto e fare una lista più larga dei comportamenti in cui si manifesta il male (o che costituiscono il male? - come mi devo esprimere?), e riflettere se esiste una classificazione possibile, una gradazione, oppure no, ma cosa hanno in comune per costituire tutti l'oggetto di un unica riflessione. Mi sembra che non basti parlare, come fa A. Ahrendt, della differenza tra chi ammazza la zia e chi organizza lo sterminio di un popolo.

    [Vorrei dare un tono più modesto alle mie parole, che corrisponda di più al modo in cui ti pongo dentro di me queste domande, ma la difficoltà dell'argomento mi rende difficile esprimermi come vorrei]

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  4. Dici fare una lista di tutte le azioni in cui si presenta il male per poter parlare del male?
    Un pò è quello che tento di fare con il concetto di superfluo, mi pare si adatti in molti casi. Un pò però vedo due rischi, nonostante io lo faccia: essenzializzare il male da una parte e il secondo è che almeno nel mio bla bla ci sono almeno due punti di vista: morale e politico. Provo a spiegarmi meglio. E' la stesso male il male politico dal male morale (e teologico tanto per dire)? Chi lo sa, ma mi vien da ricordare,senza averci riflettuto molto ancora, Weber con l'etica della convinzione e l'etica della responsabilità, tanto per dirne una.
    Ma allora la tua casistica potrebbe essere divisa a secondo del punto da cui si considera il male, anzi scusa l'azione malvagia, visto che alla cavallinità non ci credo molto:-)), e potrebbe essere interessante notare differenze e relazioni. Ma io non ne sono capace!

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  5. Un'ultima cosa sulla povera Hannah Arendt. Io bistratto tutti, non solo lei, con il mio procedimento a spizzichi e bocconi. Quando lei parla della differenza tra chi ammazza la zia e il male totalitario, lo fa in un contesto specifico e da un punto di vista specifico. Almeno in quella lettera a Jaspers, che dovrebbe essere quella dell'undici giugno 1965, lei è interessata al male totalitario, non vuole definire il male in sé.

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