domenica 11 aprile 2010

Oh Diogenes 9, on cul de sac

Quindi considerare gli esseri umani come superflui è una condizione per cui una persona normale - per esempio un’impiegata come me - commette azioni cattive. Siccome io non frequento l’umanità in generale, (e non credo di essere unica in questo), diciamo che posso diventare una torturatrice, o spingere qualcuno che sta tentando il suicidio giù dal ponte, nel momento in cui considero la vita di quest'altro superflua.
Ma che vuol dire concretamente non considerare la vita dell’altro come superflua? Provvisoriamente con questa espressione intendo genericamente occuparmi, fare attenzione, avere cura. Immaginiamo che io voglia far bene occupandomi di altri.
Posso occuparmi di tutti gli altri?
E se non posso, come faccio a scegliere di chi considerare la vita superflua e di chi no? Non sto, solo per il fatto di scegliere, già considerando qualcuno più superfluo di altri? In altre parole sembra che non sia possibile scegliere chi è il nostro prossimo e allo stesso tempo siamo costretti a farlo*. Da una parte non possiamo fare attenzione o prenderci cura di tutti. L’amore universale non esiste, perché non siamo Dio e abbiamo visto, nel post precedente, a quali atrocità può condurre la nostra presunzione di onnipotenza. Dice infatti Don Milani, che aveva per motto I Care, “di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina, forse qualche centinaio”. Dedicarsi agli altri vuol dire sentirsi anche responsabili e agire conformemente (fatemi aggiungere più o meno) a questa responsabilità. Altrimenti si fa come i cantanti ai concerti quando urlano "I love you". Primo Levi dice la stessa cosa da un altro punto di vista “Se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere". E Todorov continua “Chi è tentato dalla santità rischia di perdere la vita**. Per conservarla, scegliamo l’oggetto della nostra compassione a seconda delle circostanze, compiangendo gli uni, dimenticando gli altri”. Una certa dose di indifferenza verso alcuni sembra necessaria per occuparsi, per diventare responsabili, di altri. D’altro canto su quale base possiamo scegliere quali altri sono il nostro prossimo?
* Questa impasse è solo apparente. Mi serve per parlare di alcuni casi che ritengo importanti, ma è un vizio del linguaggio e del pensiero perché si basa su un universalismo solo teorico e non tiene conto delle circostanze in cui le azioni vengono compiute. Insomma è un po’ lo stesso problema del post sulle mele e le pere.
** La citazione di Don Milani l'ho ripresa da Sofri, che nello stesso articolo parla anche di Langer: http://www.alexanderlanger.org/cms/index.php?r=1&k=52&id=1660
Mi sembra che sia pertinente anche per quanto detto da Levi e Todorov

AntoEnglish

Hence to consider other human beings as superfluous seems to be one condition for which a normal person, an employee like myself, can do atrocities. As I do not regulalry meet, and I suppose I am not unique in that respect, with mankind in general, let’s say I can become a torturer, or I can push somebody who is trying to commit suicide from the bridge, precisely when I take the life of this other person as superfluous.

But, what does it mean not to consider another life as superfluous? Let’s say provisionnaly that it means generally to care for his/her life. Now let’s imagine I want to care for others. Can I care for everybody? If I cannot, how can I choose whose life is less superfluous than another one? By the very fact of choosing, am I not considering someonelse life as superfluous? It seems we are in a cul de sac: we cannot choose our neighbour and we cannot not choose him or her*. From one hand we cannot care for everybody. Universal love does not exist, as we are not God and I’ve already said in my previous post to what terrible things can take our delusion of omnipotence. Indeed, Don Milani**, whose motto was I Care, said: “Actually we can love only a limited number of people, maybe some dozens, maybe hundreds”. To care for somebody means to feel responsible for him/her and to act accordingly (let me add more or less) with this responsibility. Otherwise we do as those singers who cry “I love you” during concerts. Primo Levi says the same things from another angle: “If you had to and could suffer all the pains of the world, you simply couldn’t survive”. And Todorov goes on: “Who is tempted by sanctity risks his /her life. To remain alive, we choose the subject of our compassion by the circumstances, feeling sorry for someone and forgetting others.” A certain degree of indifference is thus necessary, in order to take care of somebody. But how can we select who to care for?

*This cul de sac is just an apparent one. I need it to talk about some interesting cases, but it is actually a misuse of language and thought as it postulates an all theoric universalim and does not take into account those circumstances in which actions are deploied. It's a bit as in my post about oranges and apples. **http://en.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Milani

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